giovedì 28 marzo 2013

La vendetta del vegano cieco!

Dal famoso ciclo (appena inaugurato) "Leggende tecnologiche milanesi"...

Si narra nei locali più squallidi e beceri, sui forum più deliranti e nelle chatroom più disomogenee della leggenda del vegano cieco.

Una volta il mondo era pieno di programmatori. Lavoravano ogni giorno in un grande mondo sotterraneo, con piccole finestre all'altezza del suolo, tante luci artificiali per simulare l'azione solare e l'agognata scala verso la superficie. Questi uomini e donne dalla mente allenata e brillante emergevano dagli abissi ad orari regolari, per mangiare, nutrirsi di caffè ed infastidire gli abitanti della superficie con i loro scherzi e le loro ossessioni di ordine mentale e logico.

La vita procedeva tutto sommato tranquilla e regolare, ma un triste giorno gli abitanti di superficie cominciarono a prendere in odio gli ingegneri del sottosuolo, complice la difficoltà di comunicazione tra società e modi di pensare così diversi.

Mesi passarono in un clima di tensione, fino a sfociare in guerra aperta.

Ciascuno dei due gruppi umani incolpava l'altro dell'inasprirsi del conflitto: il sottosuolo iniziò a comunicare solo per email, la superficie sequestrò le macchine del caffè, il sottosuolo rispose annientando i wifi e la superficie oscurando le finestrelle che davano l'unica luce naturale.

Un giorno gli abitanti del sottosuolo si ritrovarono con le scale di accesso alla superficie sbarrate da una pesante lastra di pietra. Nonostante tutti i loro sforzi non riuscivano a spostarla di un millimetro e mancavano delle materie prime necessarie a costruire utensili.

Venivano nutriti con una brodaglia proteica attraverso un canale appena costruito, e quando si rifiutarono di consegnare i frutti del loro lavoro se non fosse stata rimossa la lastra di pietra venne tagliata loro l'energia elettrica ed il collegamento ad internet.

Nel buio più assoluto e privi di contatto con l'esterno presto caddero preda di allucinazioni e follia. Picchiavano sui tubi dell'acqua con ogni mezzo per farsi sentire, per colpire la superficie ancora una volta, per non farli dormire la notte e portare anche il loro nemico alla pazzia.

Ma la superficie poteva andarsene, sentire il sole sulla pelle, il vento tra i capelli e respirare aria pura (a milano???).

Un giorno il ritmico battere sulle tubature diminuì di intensità fino a cessare del tutto.

Dopo una settimana una squadra di esplorazione della superficie scese nel sottosuolo per vedere cosa fosse successo: trovò un unico sopravvissuto alla follia e alla fame, cieco per la poca luce e quasi ucciso dalla scarsità d'aria. Il VEGANO!

L'unico in grado di sopravvivere con la brodaglia, l'unico riuscito a diventare breathariano per necessità.

Era l'unico programmatore rimasto, ma nella morte aveva assorbito le conoscenze ed i poteri dei suoi compagni, conosceva quindi ogni linguaggio di programmazione del mondo ed era riuscito a rielaborarli in modo da potersi interfacciare con il computer definitivo: il cervello umano!


Dopo aver riprogrammato le menti della squadra di ricerca fuggì e fece perdere le sue tracce.
Ancora oggi si aggira per il mondo, ultimo della sua razza, cacciando senza sosta pubblicitari, addetti alle pubbliche relazioni e laureati in materie inutili, nel vano tentativo di placare la sua sete di vendetta..

martedì 26 marzo 2013

La macchina della realtà


Più riguardo a La macchina della realtà

Questo romanzo della premiata coppia Gibson/Sterling è un esperimento Steampunk di due mostri sacri del Cyberpunk.
Partiamo dalle cose positive: 
1) lo Steam mi convince abbastanza, tutto il libro è ammantato di macchine a vapore, calcolatori ultrameccanici, nebbie, confraternite del vapore, etc.
2) ah, la politica! Forse uno dei pochi libri in cui vengono accennate le conseguenze politiche e sociali di una rivoluzione industriale portata alla massima estensione, compreso l'avvento di calcolatori. In molti altri libri del genere il tutto è un "PUF, un giorno sono comparse le industrie a vapore. Ah ok." invece qui si parla di scontri politici tra antica nobiltà terriera e i nuovi Lord Radicali, capitani di industria, sapienti, scienziati che hanno spazzato via il vecchio regime; e poi controrivoluzionari ludditi, preti e vescovi che ostacolano il progresso e le prime idee marxiste che attecchiscono nella comune di Manhattan. Insomma l'aspetto "storico sociale" della vicenda è davvero bello.
3) Lo stile di scrittura e di racconto è apprezzabile, il livello di immersione nel mondo è degno di nota.

Ora passiamo al negativo:
1) la vicenda! Sembra divisa in più storie con un unico filo conduttore, ma anche se le singole storie sono abbastanza comprensibili la tela del ragno che le unisce rimane assolutamente fumosa e difficile da seguire.
2) La conclusione è ancora più confusionaria, si intuisce a grandi linee il concetto ma non se ne capisce il come, il perché.
3) Forse troppa carne al fuoco. Più volte durante il romanzo vengono accennate situazioni lontane, come cosa stia succedendo in America ad esempio, ma non ci si sofferma mai nel dettaglio. Tuttavia gli accenni sono molteplici e continui, si danno una serie di immagini che stuzzicano il desiderio di sapere, di esplorare, di vedere, ma alla fine si lascia il lettore insoddisfatto perché questo viaggio non avviene mai!
Lo stesso discorso avviene per i Giapponesi in visita a Londra. Perché sono lì? Non aggiungono nulla alla trama se non la discussione sul desiderio di modernità del Giappone a costo di uccidere il passato, facilmente evitabile.

IN CONCLUSIONE:

Un buon libro, sicuramente interessante e ben scritto, ma non un capolavoro.
Se amate particolarmente lo Steampunk e le ucronie a me è piaciuto, ma non aspettatevi un capolavoro del genere.

martedì 12 marzo 2013

Educazione Siberiana ed altre amenità

Mentre aspetto pazientemente che il Conclave ufficializzi la mia prossima elezione a Pontefice (ammetto di aver dato ordine di tirare un po' la cosa per le lunghe in modo da poter far aumentare la tensione, per creare un minimo di aspettativa), ho pensato di regalare ai posteri un ultimo post. Probabilmente poi avrò poco tempo, riorganizzare la guardia svizzera e creare dinosauri meccanici assorbirà parecchio del mio tempo libero.

Quindi sono qui a raccontare le mie impressioni sul film Educazione Siberiana di Salvatores.
Parto subito dicendo che l'impressione generale è buona, il film è decente e abbastanza interessante. Gli attori hanno la faccia adatta (solo al 90% russi, romeni o simili), l'ambientazione è ben ricreata ed il ritmo del film tiene abbastanza attenti, pur non essendo incalzante. Non è un film d'azione in fin dei conti.
Malkovic convince come vecchio patriarca degli onesti criminali di fiume basso e la presenza inaspettata di Stormare, che ha un volto così caratteristico che mi fa sempre piacere vedere, come maestro tatuatore da molti punti in più al cast.
Altra nota di merito è la scelta dell'attrice che interpreta Xenya, Eleanor Tomlinson; ha un sorriso così da scoppiata, così genuino e allegro che non può fare a meno di ispirare tenerezza.

Ma andiamo un po' sulle critiche.
La prima parte del film è forse un po' troppo spezzettata, la vicenda non è lineare e sembra non esserci trama, per cui la visione risulta difficoltosa. La parte sui tatuaggi è accennata ma non sembra avere molta importanza, ed in generale l'aspetto "tradizione Siberiana" è accennato in modo disorganizzato. A parere mio visto l'ambientazione così particolare avrebbe dovuto pompare molto di più su quelle parti. È un po' come se nel padrino non avessero mostrato quasi per niente gli aspetti mafiosi, cosa rimaneva?
Altra cosa il dialogo della scena finale fa cagare. Intendiamoci, la fine è anche bella, ma proprio quel dialogo lascia un po' mosci, a chiedersi se c'è magari un altro pezzo.

In conclusione un buon film, da vedere senza troppe pretese, sicuramente non un capolavoro. Un 7- se lo porta a casa facile.

PS: oltre tutto questo sto pensando di aggiungere una bella doppia personalità al mio personaggio di D&D, qualcosa che lo caratterizzi un po' di più, magari..

lunedì 11 marzo 2013

Signore, siamo fottuti, i Russi hanno la macchina del tempo!

Avete presente quelle belle riunioni da film dello stato maggiore super segreto americano? Quei meeting dove sono almeno una ventina di big stronzi in divisa attorno ad un tavolo, almeno la metà di loro ha il volto oscurato dall'ombra, galoppini che vanno avanti ed indietro portando messaggi ed il telefono rosso accanto all'uomo a capotavola che mette in diretta comunicazione col presidente.

Ecco, questa notte si respirava aria di tempesta in quella sala. Il fumo di sigari e sigarette perennemente accese ammantava ogni cosa, creando uno strato di nebbia perenne sul soffitto. I galoppini porta messaggi entravano trattenendo il fiato, lasciavano il foglio a chi di dovere ed uscivano il più velocemente possibile, con un sospiro di sollievo; non solo per l'aria irrespirabile ma soprattutto per non essere loro lì dentro a leggere quei messaggi e a dover parlare poi con il big boss in persona all'altro capo del filo di quel telefono rosso.

Tutto era cominciato poche ore prima, con un piccolo messaggio arrivato da uno degli agenti nell'est europeo: "I Russi hanno una macchina del tempo".
Nelle ore successive sono stati convocati decine di scienziati, esperti militari di guerra non convenzionale, filosofi, psicologi ed anche scrittori di science fiction in modo da comprendere appieno la portata di questa notizia.
Le possibili applicazioni in ambito bellico andavano dal semplice posizionamento di bombe nel punto esatto, alla perfetta conoscenza di qualunque piano di battaglia del nemico con mesi di anticipo. Fino all'assassino mirato dei leader attraverso il tempo e lo spazio.

Il tutto saldamente nelle SUE mani.


Ok, posso capire perché fossero tutti al limite del panico. Fortuna per loro che alle 7 AM la sveglia ha bruscamente interrotto la loro riunione.

lunedì 4 marzo 2013

Correte, figli di puttana!

Bam, ti risvegli in uno spazio aperto, sole e aria fresca primaverile, al centro di quello che a prima vista sembra uno stadio olimpico abbandonato da decenni. Sei su un prato rigoglioso e vedi le statue e le gradinate attorno a te assaltate e conquistate dai rampicanti e dall'erba.
Volti e figure umane oscurano la tua visuale, lentamente inizi a ricordare: l'incidente, le persone che sparivano senza lasciare traccia, la solitudine e poi l'incontro con gli altri sopravvissuti.

Poi la fuga, scappare dall'ignoto e dalla desolazione delle grandi città, fino a questo prato di campagna e a questo stadio olimpico in mezzo al nulla, questo residuo di tempi passati dove la vita sembra più semplice, ma se ci pensi bene ti rendi conto che è sempre la stessa storia.

I tuoi compagni ti aiutano ad alzarti, non ti fidi fino in fondo di loro, come potresti, li conosci da così poco, sembrano tutti spaventati, deboli e senza speranze; i tuoi amici di una vita sono scomparsi, i tuoi genitori sono scomparsi, tutte le tue figure di riferimento sono scomparse. Ti risvegli e ti rendi conto che è come essere tornati ragazzi, quando credevi di poter contare solo su te stesso e che ogni altra persona aspettava qualcosa da te.

In piedi dunque, a grandi passi sali i gradoni dei posti a sedere, in cima alle gradinate per vedere l'obiettivo, per studiare la prossima mossa; guardi verso nord e la verità ti colpisce come uno schiaffo in piena faccia. Siete alla fine di un promontorio, solo il mare vi aspetta dopo soli pochi km di terreno pianeggiante e nessuno si era accorto di nulla.

E allora via di nuovo, si torna indietro, verso l'interno, inseguiti dai mostri senza nome e senza volto che sono sempre alla distanza di un respiro dietro a voi.
Via, verso i labirinti sotterranei delle città, dove la luce e poca e ci si perde facilmente.
Via, verso i rifugi degli altri sopravvissuti, dove ombre di uomini ti fermano dal buio chiedendoti di dimostrare la tua umanità o morire.

E dove il tuo piccolo gruppo si disperde in organizzazioni più grandi, più che ansiosi di dimenticare il periodo in cui erano così spaventati e impauriti da essersi lasciati guidare da un ragazzino qualunque, che ora tornerà ad essere solo un numero in un mondo più grande di lui.